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Riprogettazione e raccolte selettive: i presupposti per un riciclo di qualità

intervista al Presidente di ASSORIMAP Walter Regis, pubblicata sul volume "Verso una economia realmente circolare. Norme, Voci, Storie" a cura di ESPER e Associazione dei Comuni Virtuosi 

Il riciclo è uno degli elementi fondamentali per un’economia che abbandoni il modello lineare, prendendo la via della circolarità. Il settore industriale che se ne occupa da qualche tempo lamenta qualche problema, logistico e normativo pagando scelte poco coraggiose derivanti dal mondo politico.

Qual è l’importanza del riciclo all’interno di un sistema circolare.

Il riciclo è un pilastro fondamentale di un sistema che voglia definirsi circolare. E quello delle materie plastiche riveste un’importanza assoluta. Sappiamo bene, perché ce lo ricordano i mezzi di stampa pressoché quotidianamente, a che livello sia arrivato l’inquinamento da materie plastiche e quali danni stia creando agli ecosistemi mondiali.
Storicamente abbiamo sempre posto l’accento sul fatto che fosse necessario concentrarsi sul corretto comportamento degli utenti: cittadini, imprese, armatori che non rispettano le norme ambientali. Il comportamento degli utenti è però necessario, ma non sufficiente: serve anche un sistema industriale efficace ed efficiente che sia messo nella condizione di lavorare al meglio. Studi datati 2015 ci dicono che il riciclo della plastica consente non solo un risparmio energetico per il sistema Italia pari a circa 1,5 milioni di TEP[1] annui, ma anche una diminuzione delle emissioni di CO2 pari a 1,7 milioni di TEP/anno. Questo significa che ambientalmente il settore è virtuoso. E allora si applichi quanto prescritto dalla normativa Europea e a cascata da quella Italiana, e si applichi la gerarchia delle priorità nella gestione dei rifiuti prevista dalla Direttiva Quadro sui Rifiuti del 2008[2], privilegiando il riciclo sullo smaltimento. Incentivato correttamente il riciclo senza dubbio può creare nuova occupazione, andando a creare una sinergia fra tematiche ambientali, economiche e sociali.

Quale percorso immagina per aumentare raggiungere l’obiettivo auspicato?

Intanto è necessario dire che i nostri riciclatori non girano a pieno regime: hanno la possibilità di incrementare la propria produzione almeno di un 20%. Questo è un dato rassicurante, ma che ci pone degli interrogativi. Se da una parte c’è una capacità industriale non pienamente sfruttata, dall’altra ci sono enormi quantità di materie plastiche che prendono vie differenti da quella del riciclo: verso la Cina; in traffici “fuori circuito” poco trasparenti; in discarica o ad incenerimento pagando costi sempre crescenti (fino a due anni fa avevamo dei costi attorno ai 120/130 euro a tonnellata, adesso abbiamo dei casi in cui si superano i 200 euro a tonnellata). È una situazione la cui definizione corretta credo sia “inquietante”. Inoltre solo gli imballaggi in plastica vengono riciclati e stanno in un circuito finalizzato al riciclo. Se andiamo a conferire nella raccolta un giocattolo o un altro oggetto in plastica che non sia imballaggio, non facciamo un buon servizio al nostro Comune, anzi gli facciamo un danno perché il Comune si trova ad avere delle penali in termini di minor ritorno economico dal sistema consortile Conai-Corepla. E purtroppo spesso anche gli imballaggi sono scarsamente riciclabili per scelte produttive errate, dettate più dal marketing che dalla effettiva funzione del prodotto.

Tutto quello che deve essere immesso nel circuito deve essere riciclabile. Oggi i dati ci dicono che oltre 2 milioni di tonnellate/anno di imballaggi immessi sul mercato, circa il 50% viene raccolto in maniera differenziata, ma per quanto riguarda l’avvio al riciclo abbiamo numeri che ci parlano di 0,5 milioni di tonnellate/anno. A nostro avviso con il riciclo effettivo (e non l’avvio al riciclo), scendiamo ulteriormente fra le 350mila e le 380mila tonnellate. Stiamo dunque parlando di un 18/20% dell’immesso sul mercato. Un dato inquietante ed allarmante. Una valutazione dei costi relativi a raccolta, selezione, avvio a riciclo e gestione operativa verrebbe da domandarsi se questo sistema sia sostenibile. Un sistema che io definisco mutualistico, ovvero in cui si raccoglie qualsiasi cosa e la si raccoglie ovunque: ma in relazione al riciclo effettivo è conseguente porsi seri interrogativi sulla relativa validità e quanto sia opportuno intervenire con alcuni correttivi.

Dobbiamo andare a fare dei ragionamenti sull’impostazione del sistema, ovviamente in maniera costruttiva, per ottimizzare tutti gli sforzi, a partire dai produttori fino al consorzio che si occupa della raccolta e selezione.

Quale l’alternativa al sistema attuale? Parliamo di raccolte specifiche e dedicate?

Il primo passo è condurre i produttori di imballaggi, laddove è possibile, alla riprogettazione degli stessi in funzione della loro riciclabilità. È necessario rinunciare al packaging come elemento di marketing, in nome di una sostenibilità ambientale e della possibilità di riciclo reale. Significa utilizzare plastiche omogenee che possano essere facilmente riciclate e quindi consentire al Paese un risparmio dal punto di vista dello spreco di materie prime, energia, risorse ed economie. È dunque necessario pensare ad un piano di incentivazione economica per la riprogettazione degli imballi. Bisogna alzare l’asticella: il CAC differenziato attualmente in vigore non è uno strumento sufficiente.
Se la riprogettazione è il primo passaggio, il secondo è naturalmente l’adozione di sistemi e circuiti di raccolta che possano essere modelli vincenti. Il modello Coripet, che raccoglie solo bottiglie, è stato definito dal Ministro Costa “un modello da seguire”. E le bottiglie vengono raccolte non solo attraverso cassonetti, ma attraverso eco-compattatori e macchinari di reverse vending. Li vedremo moltiplicarsi sul territorio nazionale in breve tempo. Una diffusione che era iniziata un paio d’anni fa, ma che si era scontrata con il problema delle abilitazioni e delle licenze dei supermercati che ospitavano questi sistemi di raccolta. Oggi, con il riconoscimento del Consorzio Coripet e con gli accordi stretti direttamente con i Comuni, quello delle autorizzazioni è un problema superato.
Con una corretta progettazione degli imballaggi ed un sistema di raccolte selettive che possono essere fatte in modalità differenti, possiamo senza dubbio raggiungere performances di riciclo migliori.

Non più tardi di un mese fa abbiamo visto il mondo dei riciclatori protestare relativamente al problema dell’”end of waste”. Un problema che vi riguarda direttamente?

La protesta non viene dal nostro settore: la plastica ha delle norme (UNI 10667) che regolano i nostri standard produttivi, e quindi non abbiamo problemi ad individuare la fine del rifiuto e quindi la nascita del nuovo prodotto, della materia prima seconda. Altri settori non hanno una normativa così chiara e quindi gli operatori si trovano in difficoltà.
Per la plastica il problema è minimale, ma se andremo a sviluppare nuova ricerca e nuove applicazioni per favorire nuovi prodotti e le norme Uniplast non andranno di pari passo, potremmo in un futuro avere anche noi dei problemi. Per il momento però siamo il Paese Europeo dall’ordinamento più avanzato sull’identificazione del fine vita e quindi della materia Prima Seconda.

Ha fatto riferimento ad una potenzialità industriale del settore del riciclo non completamente espressa. Eppure sui piazzali dei centri di selezione e riciclo continuano ad esserci montagne di plastica non trattata ed il sistema in certi momenti sembra completamente ingolfato. Come si coniugano questi due aspetti?

È così: finché si continuano a produrre imballaggi non riciclabili, perché composti di poliaccoppiati, plastiche miste, è impossibile che queste montagne di plastica trovino uno sbocco nel riciclo, che continuerà ad avere un potenziale industriale inespresso. Il mondo del riciclo, per poter investire su nuovi impianti e nuovi materiali ha bisogno di certezze riguardo le quantità in gioco e riguardo agli aspetti tecnici, ovviamente con norme tecniche di riferimento.
Quando parlo di potenzialità inespressa mi riferisco ai filoni principali che sono il PET delle bottiglie, l’HD per i flaconi. Ma quando andiamo a parlare di altre plastiche diverse, non riciclabili o riciclabili ma non in quantità tali da poter garantire uno sviluppo all’industria che le tratta, a quel punto le situazioni che si presentano sui piazzali dei centri di riciclo e selezione sono normali. Situazioni che sono cresciute in questi mesi perché la Cina, che prima ritirava anche quelle plastiche miste, ha chiuso le frontiere. Sono materiali di fatto senza valore perché solo la Cina, operando senza vincoli stringenti e con una selezione manuale ed artigianale, poteva assorbire queste montagne di plastiche miste inquinate.

Ma voglio trovare il positivo anche in questa situazione: il ritiro della Cina è certo un problema, ma rappresenta anche l’occasione per procedere ad un’analisi nuova e più precisa del nostro sistema, così da cercare nuove strade e far crescere l’Italia verso un’economia verde e circolare veramente virtuosa e non solamente di vetrina.

 

 

[1] Tonnellata equivalente Petrolio

[2] Direttiva 2008/98/CE